
Gli Anatrofobia sono uno dei segreti meglio custoditi della musica di ricerca,italiana e non solo, e il concerto al Magnolia non ha fatto che confermare in chi scrive questa impressione,radicata e consolidata negli anni grazie ad una continua e piacevole frequentazione della loro fucina sonora.
Apre il concerto,ed è una piacevolissima sorpresa, Lullo Mosso col suo mototrabbasso, che in un funambolico zapping globale tra irregular ragga,numeri alla Ruins, scat scatenato, scanzonate canzoni francesi e molto altro,munito solo di contrabbasso,delay e voce entusiasma i presenti e regala mezz'ora buona di balsamico,intelligente, puro divertimento.
Poi è il turno del gruppo canavese,schierato per l'occasione in quartetto con la presenza del violinista genovese Stefano Pastor,ed è la seconda volta in assoluto che questo musicista incontra il trio piemontese.Improvvisazione,dunque,terreno scivoloso ma capace di regalare anche pepite preziose se si hanno il fiuto e gli strumenti giusti per scavare.
Veri e propri rabdomanti del suono,i nostri mettono in scena una musica nervosa,appuntita,ricca di silenzi,di dinamiche ampie,dove la ricerca timbrica svolge un ruolo fondamentale. Il basso di Luca Cartolari esce direttamente dal laptop per farsi qualcosa di diverso dal solito basso,il lavoro suo e del fratello Alessandro(magistrale,e non è un'iperbole,anche al sax)all'elettronica è originale e sorprendente per il panorama di impressioni che è in grado di creare,mentre la batteria di Andrea Biondello viaggia libera tra un approccio un pò alla Tony Oxley(ma con più swing) e richiami ancestrali.In questo intrico labirintico ma non disordinato,si inserisce con perizia il violino di Pastor che va sempre a cercare gli spigoli e aggiunge sostanza melodica ad una musica impressionante per costruzione,nitore e potenza.
Difficile dare conto della sostanza quasi filosofica che sembra muovere queste composizioni istantanee, l'unica strada percorribile pare quella della suggestione.Assistiamo al miracolo del suono nel suo farsi,ad un lento,rigoroso(sembra un paradosso e lo è)brancolare nel buio.La gente dopo il secondo movimento si avvicina al palco,quasi stregata dal potere sciamanico dei quattro. La qualità estatica del raga indiano, le asprezze dell'impro europea,la tensione lirica di certa classica,fantasmi di shuffle che inciampano e ombre di jazz:questi solo alcuni dei riferimenti per una musica dallo straordinario potere immaginifico.La qualità di questa band , che in certi tratti ricorda l' hardcore da camera di Koch-Schutz-Studer,risiede tutta nella capacità di fuggire qualsiasi retorica nota e di sedersi sul bordo del silenzio.Pericolosamente.Tutto finisce con un respiro di sax che si spegne lentamente,e dopo nella testa c'è spazio solo per le eco feconde di questa ora di musica per davvero OUTHER SPACE